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La prima sensazione di fronte ad un'opera d'arte fu di estrema impotenza.
L'opera era lì, davanti a me.
Ma era fredda, statica, irraggiungibile. Impossibile divertirsi con lei e giocarci insieme.
Da allora sono trascorsi più di quarant'anni, ma quella prima impressione non soltanto non l'ho dimenticata ma l'ho invece utilizzata per costruirvi intorno la mia propria idea di arte e applicarla alle mie sculture, grazie anche all' "illuminazione" davanti alle opere di Jean Tinguely nell' 89 a Torino, e la domanda: " il rumore inerente alle sculture cinetiche, potrà essere trasformato in musica, o comunque in un suono codificato?".

Così sono nati i "cicli sonori".

Napoletano di origine, trentino di nascita e torinese d'adozione, recupero oggetti desueti e forme scartate e le intreccio, le congiungo, le annullo in una diversa entità dotata di una voce che può essere ascoltata attraverso un pedale, una manovella, un meccanismo.
Ruotandoli, azionandoli, il fruitore percepisce i suoni più disparati. Talvolta un lamento sottile, altre volte una combinazione squillante.

In accordo con una concezione di un'arte che non si limiti a suscitare emozioni nello spettatore ma che sappia accenderne la creatività personale, il Ciclabbasso, il Frullante o il Generatore di Silenzio inducono ad una relazione più coltivata e profonda con l'opera d'arte, offrendosi ad una esplorazione meccanica e proponendosi ad una curiosità musicale.

"Disossare" l'ovvio del suo scheletro d'ovvietà, e fare di esso una sorta di atto rivoluzionario sovvertitore degli scopi a cui l'ovvio medesimo sembra ciecamente votato: nascono così dei para-strumenti (para nel senso di "stare accanto" agli strumenti cosiddetti convenzionali), i quali, a pieno titolo, appaiono sottratti al regime tecnocratico e liberati nella dimensione "musicologica".
Sono congegni che risuonano non la loro necessità strutturale, ma la loro libertà espressiva, e quindi un nuovo modo d'intendere e di intender-li.
Diventando organi di rappresentazioni sonore, sciolgono il loro incantesimo e si allontanano dalla mentalità utilitaristica che li ha prodotti, fiorendo in un ulteriore, potente atto di de-strutturazione.

Il dato obiettivo di questi para-strumenti sembra non esserci più. Una tecnologia smaterializzata di tecnica si fa portatrice di un'arte sonora, di un contesto musicale che è come il concerto di una destrutturazione operata, che se la ride della sua precedente funzione.
La musicalità riprodotta da questa "sottrazione di tecnologia alla tecnica stessa", da questa immissione d'arte nella tecnica, si congiunge ad un'estetica del suono che i parastrumenti non soltanto effondono, ma attestano, sospinti come sono dalla "vis" ludica e metamorfica.

Seguono le performance sonore e musicali, di cui le "macchine musicali" - nelle loro successive forme ed evoluzioni - sono il perno e lo strumento.
Jam-session con musicisti, cantanti, VJs, prosatori. Performance di suoni e danza; suoni, danza e voce. Contaminazioni e collaborazioni, incursioni nella video e in rete.
In tempi recenti, le "macchine sonore" catturano la luce e la trasformano in movimento, suoni, riflessi, giochi di luce, magia e allegria travestendosi da CICALE, piccoli robot fotovoltaici che friniscono fino a quando sono esposti alla luce, esattamente come i loro omologhi naturali.
Probabili creature in perenne movimento, figlie maggiori di Duchamp, Calder, Tinguely, Arman e Fogliati, rivelandosi come oggetti, assemblaggi, sculture, scatole, scarti, ricicli; inizialmente silenti/immobili e poi insistentemente loquaci/irrequieti, inducono il visitatore ad abbandonarsi all'ipnotica fascinazione di insetti elettromeccanici in euforica libertà, ancorché ingabbiati, inscatolati, ammaestrati, in un gioioso affastellamento di diorami, terrari, cuccioli fotovoltaici, fino a perdersi, cullato e disorientato dal frinire insistente di innocui, teneri, effimeri, brulicanti, irriverenti insetti, illuminato infine dalla scoperta di infiniti mondi fatti di luci, suoni, movimenti, sensazioni.